Storia del Faito 5. Il dopoguerra: una montagna per tutti

 Di una valorizzazione turistica del Monte Faito ne parlarono, per la prima volta, tre pionieri dei monti Lattari: Girolamo Giusso, Eugenio Licausi e Vincenzo Campanile. Quest’ultimo aveva accennato, nel suo contributo, al bisogno di costruire dei rifugi in stile alpino che potessero accogliere i frequentatori di quelle montagne e dar così loro sollievo e possibilità di ricovero. Eugenio Licausi, nel suo Su e giù pei Lattari, aveva accennato alla possibilità di impiantare al Faito una stazione climatica, collegata mediate strade rotabili e funicolari ai paesi della costa:

«Io sogno spesso quel vasto altipiano, all’altitudine di 1000 metri, in gran parte boscoso, con luoghi che presentano un panorama incantevole e con strada rotabile e funicolare che giungono fino al mare, popolato di alberghi grandiosi, nei quali vanno a trovare ristoro, salute e vita i fortunati della terra, per esser quivi la prima stazione climatica del mondo».

Anche Nicola de Rosa, già nel 1897, intravedeva nella maestosità del luogo possibilità turistiche eccezionali:

«Chi non ha mai veduto il Faito, vada a vederlo. È cosa doverosa. E quando il visitatore si sarà persuaso che o con una funicolare, o con una ferrovia ad ingranaggio, o semplicemente in carrozza si può con un minimo di un’ora e col massimo di due, arrivare lassù, a mille metri sul mare, dopo aver fatto il bagno o nelle acque limpidissime di Pozzano, od in quelle dello stabilimento minerale, gli verrà la voglia di domandare: Ma è proprio necessario andare in Isvizzera per godere il fresco e le belle, incantevoli, verdeggianti vedute? […] Girolamo Giusso comprese Faito e Castellammare insieme, e volle allacciarli. Una Società seria e positiva troverebbe in lui le migliori disposizioni per far sì che da Castellammare si potesse andare a Faito in breve tempo e trovare lì un albergo che desse dei punti – sotto tutti i rapporti – a quelli della Svizzera».

Con Girolamo Giusso, che fu il primo a far costruire un’abitazione in quota, gli obbiettivi si fecero dunque, se non più arditi e ambiziosi, certamente più concreti. La creazione della carrozzabile da Castellammare di Stabia, e la costruzione dello chalet, all’inizio del secolo, egli di fatto aveva già inaugurato la stagione caratterizzata da alloggi per rendere stanziale un primo nucleo di persone. Ma le intenzioni del conte – come detto – erano quelle di edificare una vera e propria stazione climatica sul Faito, e con questo proposito egli contattò anche alcune società svizzere per uno studio di fattibilità. Ancora negli anni venti, poco prima dell’incendio dello chalet, e poi negli anni trenta, prima dello scoppio della guerra, si discettava se il mezzo migliore per poter raggiungere la vetta fosse la funicolare, come quella del Vesuvio, la filovia, o, addirittura, la funivia. Le parole con le quali, nel 1959, il cavaliere del lavoro Ivo Vanzi lo menzionava, pongono l’accento proprio sul suo ruolo di pioniere nell’opera di turistizzazione di quell’altopiano. Egli ricordava, infatti:

«gli sforzi … di Girolamo Giusso, che aveva antiveduto la possibilità del Monte Faito, che vi aveva costruito uno chàlet, ora diruto per incendio, il quale porta ancora nelle carte la denominazione di Villa Giusso, che aveva tracciato un’ardita strada tra la mulattiera e la carreggiabile da Castellammare, ed una serie di stradette sull’altopiano, in buona parte da noi risolcate e sistemate, che vi aveva piantato, con animo di appassionato cultore del bosco, la maggior parte degli alberi che ora godiamo»

Paradossalmente il primo progetto di una stazione climatica sui Lattari, pubblicato a stampa nel 1924, riguardò invece l’altopiano che si trova sul versante opposto al Faito, alle spalle del monte Sant’Angelo ai tre Pizzi: il Mègano. Esso ha delle indubbie rassomiglianze con il progetto approvato e eseguito poi sul Faito: più in particolare obbiettivo primario era quello di creare una stazione di funivia con due tracciati, uno in collegamento con Gragnano e l’altro con Ravello e Minori.

«Queste regioni ambiscono riunirsi; i due golfi anelano di essere nella più rapida comunicazione per lo scambio dei loro prodotti e per la fusione delle loro bellezze». Collegata con Gragnano e con Ravello la stazione climatica del Mègano avrebbe dovuto ospitare un gruppetto di villette: «ivi le famiglie benestanti potranno godere il benessere di un breve soggiorno montano, senza privarsi dei bagni marini o minerali». E ancora: «Un albergo elegante di 50 letti, ville sparse, chalets, belvederi riscaldati e garantiti da vetrate nei punti più belli, una chiesetta, una vaccheria, e un piccolo albergo per turisti di passaggio renderanno quel soggiorno delizioso e ambito, non contaminato da strade polverose, né dalla vicinanza di villaggi meschini». Tutto ciò venne realizzato, oltre vent’anni dopo, sul Faito.

Sono tre –infatti- gli avvenimenti che -a partire dalla fine degli anni Quaranta- cambiano il volto all’altopiano, suscitando all’inizio favori e consensi quasi unanimi. Nel 1949 viene terminata la costruzione del santuario di San Michele, ad opera del comm. Amilcare Sciarretta(la chiesa verrà consacrata nel 1950); nello stesso anno viene dato inizio alla prima lottizzazione e alla creazione del villaggio Monte Faito, per volontà del cavaliere del lavoro Ivo Vanzi; il 24 agosto del 1952 “due panierini di acciaio allacciano Castellammare al Monte Faito”: si trattava della funivia per il Monte Faito che permetteva, in pochi minuti, di essere trasportati nell’incantevole scenario sul golfo.

Già nel 1946, nel primo numero della neonata rivista di Adriano Olivetti Comunità, gli architetti Luigi Piccinato e Marcello Canino descrivevano il progetto di creazione di un villaggio turistico. E nel 1948 Gina Algranati, su Le vie d’Italia, lo illustrava in maniera più compiuta. L’attenzione nuova verso la montagna comportò anche la sua scoperta come soggetto storico. Si pensi ai diversi lavori di Antonino Trombetta, che al Faito dedica una Storia, dalla quale abbiamo estrapolato e qui presentiamo il breve e denso saggio sulla neve.

Se si escludono i due scritti di Edgardo Hutter e di Vittorio Curcio la letteratura sul Monte Faito di quel periodo segue altre logiche che non quelle classiche del racconto di montagna.

Essa viene caratterizzata dai “Ritratti”, da “Impressioni”, e descrizioni del sito che nulla hanno a che vedere con la letteratura di montagna. Hanno valore letterario forse più alto, e in alcuni casi il lirismo di queste pagine raggiunge livelli di tutto rispetto, non disgiunti da un’acutezza e una sensibilità rare. Ma non si tratta più di letteratura di montagna. Certo, anche in questo caso, le visioni panoramiche colpiscono gli autori, così come la nebbia, il paesaggio alpino, l’odore della resina. Si fa più intensa la descrizione dei boschi, colti non nel loro aspetto fisico, come ostacolo da superare, ma per gli odori, l’aria, i colori; le ombre fitte, il paesaggio nordico, le fragole, la natura nel suo insieme da contemplare attoniti. Ma quel che colpisce questi scrittori è soprattutto la velocità con la quale, tramite la funivia, da Castellammare di Stabia si raggiunge l’altopiano; stupisce il cambiamento repentino di temperatura, la frescura che allontana immediatamente dalla città. In Bonifacio Malandrino si mette in rilievo la vicinanza della montagna col mare, e con le maggiori località turistiche della costa, in Rea si sottolinea come nel golfo di Napoli “nessuno, assolutamente nessuno nota che nel disegno di questo panorama celebre fino alla stucchevolezza, vi sia qualche altra cosa” i Lattari e il Faito, appunto, che “è stato rispolverato e rimesso allo stesso posto di sempre, ma dove nessuno, come accade in certe vecchie case, si ricordava di averlo notato”. Infine, accenni a una sensibilità “ambientalista” li troviamo nel pezzo di Luigi Compagnone dove già si intravede il contrasto tra la cultura montana tradizionale e le esigenze turistiche contemporanee, e si denuncia – con una bella immagine – l’impari lotta tra alberi e Juke-boxes: “Forse il lamento di Pier delle Vigne («perché mi scerpi?») conteneva già un presentimento e un allarme”.

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